S. Angelo Muxaro
Sant’Angelo Muxaro, piccolo centro abitato del comprensorio provinciale agrigentino di circa 1500 abitanti, si erge su una collina a 335 metri sul livello del mare, lungo la riva sinistra del fiume Platani. Le origini di questo paese rimangono indefinite fino ad arrivare alla nascita della città di Kamicos (1300-1200 a.c.), quando questa parte della Sicilia fu popolata dai Sicani.
Antiche tradizioni narrano che Dedalo, artista geniale ed abile architetto, per sfuggire alle ire del re Minosse, da Creta si trasferì in Sicilia volando con ali di piume e cera costruite da lui stesso, dove Kokalos re dei Sicani lo accolse d’amico.
Per Kokalos, Dedalo fece costruire su una rupe una città chiamata Kamico, ove il re fece trasferire la sua reggia resa inespugnabile grazie agli artifizi del geniale architetto.
La ricchezza di questo impero era dovuta anche al fatto che il fiume Platani, l’antico Halikos “Fiume del sale”, solcando le alture anticamente abitate dai Sicani permetteva a questi di controllare il commercio e il transito attraverso le vie di penetrazione dal Mediterraneo verso l’interno della Sicilia. In un tratto aspro e suggestivo della sua Media Valle sorge su un colle gessoso, oggi l’abitato territoriale all’interno del quale viene collocata la rocca di Kamico sede della favolosa reggia di Kokalos di cui la leggenda ci narra. Infatti essa ci aiuta a spiegare le persistenti tracce dell’influenza Cretese-Micenea a Sant’Angelo Muxaro fino a tarda epoca e fin dopo la fondazione della colonia Rodio-Cretese di Akragas. Dei diversi ritrovamenti archeologici in Sant’Angelo Muxaro si ha notizia sin dal ‘700, dopo che nella collezione privata del Vescovo Mons. Lucchesi Palli comparvero quattro coppe d’oro provenienti da quest’area di cui due decorate con figure di tori disposti tutt’attorno ad un omphalos centrale. Di questi stessi oggetti se ne parla in diversi scritti di viaggiatori che qui fecero tappa, come il Principe di Biscardi, il Barone Von Riedesel e il pittore francese Jean Houel, grazie al quale si è appreso che al momento della sua visita solo una delle due coppe era presente, poiché l’altra era stata venduta ad un inglese, passando successivamente alla collezione di Lord William Hamilton, ambasciatore presso il regno delle due Sicilie, per giungere e restare tutt’ora al British Museum di Londra.
Intorno all’800 circa, Sant’Angelo Muxaro assume una posizione di particolare rilevanza nel contesto del panorama archeologico siciliano, dato che nella parte più bassa della collina che volge a mezzogiorno, contadini del posto scavarono decine di tombe rinvenendo oggetti, vasi e materiale archeologico in numero incalcolabile. Gli abitanti del luogo caricavano tali reperti in apposite ceste e con muli ed asini, percorrendo antichi sentieri e trazzere, li portavano ai mercati di Agrigento e Palermo. Molti di questi oggetti finivano a far parte di collezioni private, altri nei musei delle città. Di particolare importanza nel 1927, fu il ritrovamento ad opera di un contadino locale mentre arava la terra, di un pesante anello con sigillo d’oro massiccio (45,9 gr.), oggi esposto al museo regionale di Siracusa, con castone ellittico raffigurante una vacca che allatta un vitellino. Fu tale ritrovamento che nel maggio del 1931 spinse lo studioso Paolo Orsi con la collaborazione di Umberto Zanotti Bianco, ad effettuare una fortunatissima campagna di scavi che durò un anno, mettendo alla luce un imponente necropoli protostorica.
Gli scavi iniziarono sulla parte Sud-Est del colle e in poche settimane si riportò alla luce un patrimonio inestimabile: tombe pre-protostoriche (XII-V sec. a.C.) grandissime, monumentali, senza eguali in tutta la Sicilia, ricche di corredi funebri e metallici. Gran parte di queste tombe sono di forma rotonda a pseudo-cupola a tholos e ricordano le tombe principesche micenee.
Generalmente contenevano un gran numero di cadaveri (in una furono ritrovati 35 teschi) e ciò fa pensare ad un uso domestico o dinastico. Fra queste tombe la più monumentale è la “Grotta del Principe”, formata da due grandi camere circolari comunicanti; una anteriore molto grande (diam. m. 8,80 ed alt. m. 3,50) e la seconda più internata e di dimensioni più ridotte, presenta intagliato nella roccia un lettuccio funebre. E’ chiamata anche “Grotta Sant’Angelo”, dal nome del santo protettore che secondo la tradizione avrebbe scelto la grotta per il suo eremitaggio intorno alla prima metà del secolo XIII d.C., dopo averla liberata dal demonio. In alto si può osservare un botolino collocato al centro della volta, che pur avendo perso la funzione architettonica di sostegno, testimonia chiaramente le influenze minoico-micenee.
Le altre tombe della necropoli sebbene più piccole di quella del Principe, mostrano nella perfezione delle loro forme una sapienza costruttiva ed una sensibilità artistica assolutamente uniche. In epoca più recente alcune tombe furono trasformate in abitazioni, inoltre costruite per contenere in genere più defunti, potevano essere aperte e richiuse per accogliere i nuovi ospiti o celebrare riti come dimostrano i battenti scolpiti nella pietra, i buchi per i cardini delle porte in legno e gli anelli di chiusura. In queste tombe furono ritrovati un gran numero di vasi con incisioni a motivi geometrici, varia ceramica, pissidi, coppe ad alto piede, brocche ed altri svariati oggetti; ma la scoperta più sorprendente fu all’interno della tomba più grande, dove venne ritrovato ancora al dito di un cadavere un grosso e pesante anello sigillo d’oro massiccio (54,8 gr), del tutto simile a quello ritrovato dal contadino, pure con castone ellittico ma raffigurante un lupo coi suoi unghioni. All’interno della stessa tomba, sicuramente la più ricca, furono oltre cento gli oggetti rinvenuti, di cui ottantasette vasi in ceramica e numerosi rottami. E comunque anche le tombe minori furono trovate colmi di vasi, crani, ossa e corredi funebri. La necropoli del monte di Sant’Angelo Muxaro rappresenta la parte più esterna di un sito archeologico molto più ampio. Essa assume una posizione tale da far pensare ad una barriera insormontabile posta a protezione di una più importante area, quella del “Monte Castello”, sulla cui sommità pianeggiate gli studiosi sono ormai concordi nel collocare la sede dell’antica e mitica fortezza dei Sicani: Kamikos, che assistette all’avvicendarsi dei popoli più diversi, Egei, Fenici, Greci, Cartaginesi, Romani fino al Medioevo ed ai Normanni. Qui sono state rinvenute centinaia di tombe, sia a tholos che a forno.
Le più spettacolari risultano sicuramente le cosiddette “Grotticelle”: un alveare di tombe scavate nella roccia, che peraltro in età bizantina furono anch’esse trasformate in abitazioni. Tutto il materiale archeologico riportato alla luce dal territorio santangelese si trova oggi custodito nei musei di Sicarusa, Palermo, Agrigento, e come già detto in precedenza, al British Museum di Londra.
Qui furono presenti i Sicani. Proprio in questa valle riuscirono a rafforzare la loro presenza, controllando il traffico di merci e di prodotti di vitale importanza e riuscendo anche a vigilare sulle vie di comunicazione interne, come il fiume Platani, che dalla costa africana si spingevano verso l’interno della Sicilia assumendo, di conseguenza, un ruolo strategicamente nevralgico per gli equilibri economici e politici di quei tempi. Qui i Sicani costruirono la capitale del loro regno: la mitica e forte “Kamikos del re Kokalos”, identificata oggi in Sant’Angelo Muxaro. Musciaria fu il suo nome arabo, da quando i musulmani se ne impadronirono nel ‘862 e la tennero fino alla conquista di Ruggero il Normanno nel 1087. Dall’epoca di Federico II in poi vide avvicendarsi potenti famiglie medievali. Nel 1535 infine Mussaro è descritta come terra distrutta. La peste, la carestia, lo stato di miseria e di abbandono in cui versava la Sicilia sul finire del 1400, furono la causa di questa fine. Da allora Monte Castello, i cui ultimi abitanti si erano trasferiti su di un colle poco distante, che tempo prima un gruppo di Greci-Albanesi aveva ripopolato iniziando la storia dell’odierna Sant’Angelo, rimane solitaria rocca a dominare il paesaggio della Sicilia inquieto e vario come la storia che lo ha attraversato.