Prima della dominazione borbonica, la Sicilia era suddivisa in tre valli: Val di Mazara ad ovest, Val Demone ad est, Val di Noto a sud est, secondo una divisione più geografica che sostanzialmente giuridica. Tale rimase fino alla Costituzione del 1812, dopo la quale l’isola fu divisa in ventitre distretti, in ottemperanza anche ad esigenze territoriali.

Con decreto di Ferdinando IV, divenuto poi Ferdinando I delle Due Sicilie, dal 1818 fu dato un nuovo assetto territoriale. Furono confermati i ventitre distretti, vennero istituite sette intendenze, rette da un intendente che governava con un consiglio di intendenza composto da cinque membri di nomina regia, ed era assistito da un consiglio provinciale formato da venti consiglieri nominati dal re su proposta dei decurionati cittadini, una sorta di giunte comunali. Le intendenze erano suddivise in ventitre distretti con a capo un sottointendente coadiuvato da un consiglio distrettuale di dieci consiglieri. L’area territoriale di Palermo comprendeva quattro distretti: uno a Palermo, un secondo a Cefalù, un terzo a Termini, un quarto a Corleone, con un comprensorio di settantatre comuni. A ciascun distretto facevano capo dei circondari, di cui sedici a Palermo, sei a Cefalù, quattro a Corleone, otto a Termini. L’organo ufficiale di divulgazione e pubblicazione delle leggi era il Giornale dell’Intendenza. L’intendente aveva potere esecutivo e rappresentava lo Stato, attuava le leggi, aveva in mano la direzione delle forze di polizia per l’ordine pubblico, vigilava sui comuni. Il consiglio provinciale esercitava funzioni deliberative riguardo ai tributi, ripartizione fondi per opere pubbliche, l’istruzione, casermaggio, pubblica assistenza e istituti di beneficenza. Nel suo complesso l’organigramma amministrativo del governo borbonico era organizzato in modo efficiente, almeno sulla carta. Infatti per molti aspetti, si aveva un reale riscontro di buona risoluzione di problematiche. Pur esercitando un potere assoluto, il sovrano aveva decentrato molte funzioni ad organi periferici, che con una struttura articolata e complessa, avevano un potere di sorveglianza ben coordinato su tutto il territorio, anche il più distante. Il principio si basava su una struttura piramidale al cui vertice stava il re, ma che comprendeva una serie di sistemi amministrativi con supporti governativi, fino ad arrivare al nucleo più semplice che erano i comuni. Un apparato di governo così concepito, anche se ben organizzato, era una macchina burocratica troppo complicata che spesso non consentiva lo snellimento delle procedure amministrative, non riusciva a risolvere i problemi e i bisogni di tutta la popolazione, specialmente quella dei centri più lontani, arroccati in montagna e mal collegati con le città più grandi.

Tuttavia il sistema presentava aspetti molto interessanti, definibili moderni, o per lo meno molto all’avanguardia per i tempi. Anche il contenuto delle leggi emanate, se si considera il periodo storico, e il fatto che si trattasse di una monarchia assoluta, possono considerarsi molto flessibili e innovative, rispetto ad altri sistemi legislativi appartenenti ad altri stati dove vigevano i regimi assoluti.

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