Dovendo parlare dello zolfo, non si può prescindere dall’importanza culturale che esso ha rappresentato per gli scrittori siciliani, come ad esempio per il grande Luigi Pirandello. Bisogna considerare due aspetti: uno riguarda il territorio, il bacino solfifero, le vie di comunicazione per il trasporto dello zolfo, il molo di Porto Empedocle, la linea ferrata Palermo-Agrigento; l’altro è incentrato sull’attività della famiglia di Pirandello, sulla gestione delle miniere e nel commercio dello zolfo. In molte novelle pirandelliane lo zolfo è motivo ispiratore. La miniera ed il suo mondo fanno da sfondo alla produzione letteraria di Pirandello. Fu grazie proprio ai proventi ottenuti con la gestione di miniere da parte del padre, che il giovane Luigi potè studiare fuori. L’improvviso dissesto finanziario fu causato a seguito dell’allagamento della zolfara gestita dal padre Stefano. A questo punto Luigi, costretto dalle circostanze, deve procurarsi da vivere scrivendo. La letteratura diventa dunque una scelta obbligata per sbarcare il lunario e mantenersi agli studi. La salute mentale della moglie, Maria Antonietta Portolano, per questo avvenimento, fu gravemente compromessa. Lo zolfo dunque, direttamente ed indirettamente ha inciso nella vita di Pirandello in modo determinante influendo anche pesantemente in tanti e profondi cambiamenti della sua esistenza. Il padre era stato un patriota garibaldino di famiglia palermitana-ligure. Nel 1860 si trovava ad Agrigento per curare gli affari nell’attività commerciale di zolfi ed agrumi della famiglia. Nel 1863 sposò Caterina Ricci Gramitto, dal cui matrimonio nacquero Rosalia, Luigi, Anna, Innocenzo, Adriana e Giovanni. L’attività nel commercio e nella gestione degli zolfi, contribuirono a migliorare le entrate finanziarie della famiglia che conduceva una vita agiata. Una speculazione finanziaria mal riuscita, gli fece subire gravissime perdite, costringendolo a trasferirsi a Palermo dove lavorò per alcuni anni nell’azienda del fratello. Ritornato a Porto Empedocle, riprese l’attività autonoma, occupandosi di alcune miniere vicine ad Aragona. Nel 1894, convinse il figlio Luigi a sposare la figlia del cugino Calogero Portolano, Maria Antonietta. Il destino che accompagnerà gli avvenimenti dell’esistenza dello scrittore, rimarranno legate allo zolfo. Nel gennaio del 1904 così egli scrive ad un amico: “…non solo non voglio riposarmi, ma non posso, non posso più. Sappi che da circa un anno le condizioni finanziarie della mia famiglia, per un’improvvisa sciagura, non sono più quelle di prima. Una grande zolfara, che dava a mio padre e a tutti noi l’agiatezza, s’è allagata, e l’allagamento ha prodotto danni per più di quattrocento mila lire…io sono rimasto con tre figliuoli e la moglie…” Tutto il capitale paterno, più altre entrate che erano state erogate da altri parenti, andarono perduti, per cui i genitori di Luigi, si ritrovarono poveri e in grave stato di indigenza, costretti a vivere di una scarsa pensione di Caterina, che aveva ottenuto come profuga per l’esilio a Malta nel 1848. In seguito tutti i figli li aiuteranno, compreso Luigi, quando le sue condizioni finanziarie miglioreranno. Lo zolfo è un tema ricorrente nelle opere dello scrittore agrigentino, come già si è detto; non si tratta tuttavia della vita nella zolfara o della storia vera e propria dei minatori, ma del mondo che gravita attorno allo zolfo, come simbolo di forti sentimenti, di emozioni, di tristezza, di radici antiche e profonde che fanno parte della terra siciliana. Nelle sue pagine affiora la sofferenza dei minatori, di coloro che gestivano la zolfara, di quelli che partecipavano all’estrazione del minerale giallo, fonte di tragedie, di denaro guadagnato sulle fatiche immani dei minatori e dei carusi. Nella famosa novella “Ciaula scopre la luna”, Luigi Pirandello traccia la figura di uno di loro, disperato e solo. Eccone alcuni passi salienti: “Ciaula con la lumierina a olio nella rimboccatura del sacco su la fronte, e schiacciata la nuca sotto il carico, andava su e giù per la lubrica scala sotterranea, erta, a scalini rotti, e su, su, affievolendo a mano a mano, col fiato mozzo, quel suo crocchiare a ogni scalino, quasi in un gemito di strozzato, rivedeva a ogni salita la luce del sole…Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. D’apprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato…Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là , eccola là, la Luna. C’era la Luna! La Luna! E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo,…nell’averla scoperta” . Il pianto di questo “caruso” esprime tutta la profonda tristezza di quel mondo, dove anche lo stesso Luigi, il padre e tutta la sua famiglia avevano avuto un ruolo di interpreti.

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